La Russia e l’est Europa tutto sono i territori con il maggior numero di reattori nucleari. Vladimir Putin continua il suo assedio e minaccia stavolta di affondare non solo la popolazione civile, ma anche l’ambiente.
L’energia di cui dispone l’Ucraina è per il 53% di natura nucleare. Le stime ci raccontano che nel 2021 più della metà del fabbisogno energetico del paese veniva soddisfatto dalle 4 centrali nucleari presenti sul territorio. Queste 4 centrali, attualmente in funzione, dispongono rispettivamente di 15 reattori operativi.
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Non che rappresenti una novità, il territorio est-europeo conta la più alta percentuale di produzione di energia nucleare dell’Occidente e lo abbiamo scoperto il 26 aprile del 1986, con il disastro nucleare più imponente della storia, quello di Černobyl’. L’Ucraina è in questi giorni sotto sotto assedio per la volontà del presidente Russo di risolvere i propri conti con la storia prima del pensionamento. L’equazione promette risultati potenzialemente devastanti.
L’impatto ambientale di una guerra all’insegna del nucleare
L’Ucraina ha sviluppato l’energia nucleare piuttosto recentemente. Rispetto ai progressi dell’ex-URSS, il primo reattore ucraino risale al 1970 e rende commerciale la propria attività circa 8 anni dopo. Per la costruzione dei reattori del suo territorio, 15 per l’esattezza, la tipologia VEER è andata per la maggiore, eccezion fatta per il reattore di Černobyl, con reattore di tipologia RBMK.
Ma perchè la storia dell’industria nucleare ucraina ci sta improvvisamente così a cuore? Veniamo all’oggi. L’esordio del ventunesimo secolo non ci ha di certo strappato un sorriso, a conti fatti. Il problema di ordine globale ad aver preteso il primo posto in agenda è stato proprio quello della crisi climatica e ambientale.
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Greta Tumberg è stata lo sponsor ufficiale della problematica, perchè si sa, senza sponsor non c’è comunicazione efficace, e più che aver sortito l’effetto di una pronta attenzione alla luna, è stato il suo dito a intercettare l’attenzione del dibattito politico internazionale. Ma qualche misura è stata presa.
Roberto Cingolani, ministro della transizione ecologica, ha promesso di voler integrare la tutela ambientale con lo sviluppo di un’economia sostenibile già nel marzo 2021. Un gioco da niente, soprattutto se si considera cosa sta succedendo esattamente un anno dopo, proprio in Est-europa.
Nella notte appena trascorsa, quella del 4 marzo 2022, a seguito della seconda manche di negoziati fra Mosca e Kiev in Bielorussia, viene colpita da una bomba russa la centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande dell’Ucraina, situata precisamente a sud-est, nei pressi di Enerhodar.
La centrale riforniva di energia ben 4 milioni di case. L’unità 1 dell’impianto è stata colpita ed è immediatamente divampato l’incendio. L’allarme è tuttavia rientrato alle 6 del mattino, quando 40 vigili del fuoco seguiti da 10 unità hanno domato l’incendio. L‘Agenzia internazionale per l’Energia atomica (AEIA), è stata subito informata, e pare che nessun reattore sia stato colpito. A subire danni sarebbe stato un edificio amministrativo dello stabile.
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A tal proposito la American Nuclear Society ha dichiarato che la reale minaccia per le vite degli ucraini continuano ad essere l’invasione Russa e le vittime civili, non lo spettro di una Černobyl 2.0. Ma perchè nel pieno di uno scenario climatico e ambientale catastrofico si è preferito optare per l’attuazione di un disegno imperialista? Putin non è un attento lettore della storia, plausibilemente, o forse spera di conquistare militarmente dell’Ucraina prima della fine stessa del mondo.
La guerra non è mai una buona cosa per l’ambiente, e non è un aforisma da mercato equo e solidale, è un fatto. L’Huffington post cita lo studioso Nils Gledistch nel ricordare l’impatto sull’ambiente della prima guerra mondiale e Michael Lawrence per la seconda. Furono impiegati circa 125.000 tonnellate di agenti chimici durante la prima guerra e circa 96.000 tonnellate durante il conflitto in Vietnam.
Il gas nervino ha ucciso sia uomini che animali. In Vietnam, le sole forze armate statunitensi hanno utilizzato più di 20 milioni di galloni di erbicidi per defogliare le foreste favorevolmente all’individuazione del nemico. La seconda guerra mondiale ha regalato all’Oceano Atlantico 15 milioni di tonnellate di greggio a causa dei naufragi delle imbarcazioni.
Il Donbass, tornando al conflitto odierno, rappresenta un importante bacino carbonifero. La consegna di munizioni aria-superficie, artiglieria, mortai e lanciarazzi multipli nell’area di confine tra Bielorussia e Ucraina non apporta di certo migliorie allo stato di pulizia dell’aria. A destare preoccupazione è anche il territorio di Mariupol, disseminato di mine.
I costi ambientali legati all’utilizzo del nucleare sono dispendiosi e in uno scenario bellico dove la minaccia di una nuova Chernobyl viene resa pretesto per una resa coatta del nemico, non lascia a cuor leggero. Di fatto l’esplosione nei pressi della centrale nucleare di Zaporizhzhya c’è stata, magari non sul reattore, ma nessuno garantisce che non sia stato un errore di traiettoria. Il capitolo ambiente viene così nuovamente sottovalutato e calpestato.