La primavera inizia a fare capolino fra una nuvola e l’altra. Tepore, colore e profumi sono i tratti caratteristici di questa stagione che ha attirato l’attenzione anche del mondo dell’arte pittorica.
In primavera si risvegliano i fiori, la natura e i colori, per i meteropatici anche gli umori. Stagione, come l’autunno, a metà fra gli estremi, si situa a metà strada dalla stagione calda. Simbolicamente invita al risveglio, alla rinascita e al disgelo dell’anima e del corpo. Invita animali e vegetazione ad uscire dal letargo e celebrare la propria linfa vitale.
Una stagione dalla carica simbolica ed evocativa così elevata non poteva non influenzare l’ispirazione di numerosi artisti. La primavera è una delle stagioni più raffigurate in pittura e i fiori, d’altro canto, rappresentano il bello estetico per eccellenza.
La primavera italiana è la favorita delle tele
Quando si parla di primavera in arte non si può non menzionare il pittore fiorentino Sandro Botticelli. Specializzata nella raffigurazione di soggetti metaforico-allegorici, l’arte botticelliana è ritenuta il riflesso della società fiorentina aristocratica rinascimentale.
I suoi dipinti più famosi, paradigma dell’arte Occidentale, sono La nascita di Venere e La primavera, non a caso. Realizzato nel 1478, la primavera è il manifesto artistico di Botticelli per alemeno due ragioni: l’inconfondibile stile pittorico basato sull’armonia delle forme, la carica allegorica dei soggetti raffigurati.
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La cosa che più di tutte colpisce è la massiccia presenza di fiori. Questi incorniciano per intero il dipinto e ne sono parte integrante. La grande varietà di specie vegetali raffigurate induce a pensare che Botticelli dedicò molto tempo all‘osservazione di fiori e piante tipiche della stagione primaverile, dal momento che sono colte nel loro fiorire.
Guido Mocci, direttore dell’Orto Botanico di Firenze, ha individuato almeno 500 specie diverse distinte fra fiorite e non fiorite. Botticelli aveva a disposizione numerosi erbari medievali, lo studio dei quali ha sicuramente arricchito l’osservazione diretta delle specie vegetali.
Fra i soggetti compaiono le tre grazie, in primo piano, simbolo dell’amore spirituale e puro di ispirazione neoplatonica; Venere, simbolo dell’amore universale; Zefiro, Flora e Cloris, simbolo dell’amore carnale; Mercurio e Cupido. Fra le specie vegetali rappresentate figurano margherite, rose, viole, iris, elleboro, viperina azzurra, camomilla, tossilaggine, giacinto rosa, papavero, fiordaliso, ranuncolo, gelsomino, nontiscordardimé, nigella, croco ed euforbia.
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Attualmente la primavera può essere ammirata presso la galleria degli Uffizi di Firenze. Degne di nota nel panorama artistico italiano sono anche Le quattro stagioni di Giuseppe Arcimboldo, dove la primavera assume le sembianze di una donna di profilo completamente ricoperta di fiori. Arcimboldo è stato un pittore italiano del periodo manierista, noto soprattutto per le “Teste Composte”.
Le quattro stagioni, commissionategli dall’erede al trono di Vienna Massimiliano II assieme a I quattro elementi, sono raffigurate metaforicamente come delle teste adornate dalle diverse specie vegetali proprie del mese. La loro disposizione era studiata in modo tale che ognuna delle stagioni fosse rivolta verso un elemento, raffigurato nell’altra commissione, creando un sistema di rapporti tra microcosmo e macrocosmo proprio della dottrina Aristotelica.
Analizzando la primavera si nota che la pelle del viso e le labbra della donna sono costituite da pelati di rosa, boccioli e corolle; gli occhi sono, invece, bacche di belladonna. La donna porta una collana di margherite al collo ed il busto, appena visibile, è ricoperto da vario fogliame. Sul seno abbonda l‘iris, l’orecchino è un’aquilegia e il giglio impera sul capo, tutte specie simbolicamente più vicine all’Austria che all’Italia.
Nella versione originali restano L’Inverno e L’Estate, custoditi al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Le versioni più conosciute sono tuttavia quelle custodite al Louvre, probabilmente per la fama del museo, che sono copie eseguite nel 1573 dallo stesso Arcimboldo sul richiesta di Massimiliano II.