A Città del Capo, in Sud Africa, c’è chi difende la propria terra. Se è vero che la diversità culturale va tutelata è bene che si combatta per la sua integrità.
Andiamo in Sud Africa, a Città del Capo, nella provincia del Western Cape. C’è un insolito fermento da queste parti da gennaio scorso: si vocifera l’arrivo di cambiamenti importanti per gli abitanti del posto.
Sono proteste, a Città del Capo si protesta contro o a favore di qualcosa. Ci sono persone con dei cartelloni che animatamente occupano i gradini dell’alta corte del Western Cape. La battaglia ha a che fare con la difesa territoriale. Scopriamo di che si tratta.
Amazon: un progetto immobiliare da 310 milioni di dollari
Le proteste qui a Città del Capo sono partite già dallo scorso inverno, a gennaio. Esattamente un anno prima, a gennaio 2021, l’amministrazione municipale della zona aveva approvato un progetto edilizio di larghe vedute, anzi, larghissime. Fra i partecipanti alla protesta alcuni indossano maschere di Jeff Bezos, ci racconta l’Internazionale.
Lo scenario si fa forse più nitido. È probabile che il colosso indiscusso del commercio on-line, Amazon, stia cercando di espandere la propria impresa. L’area verde situata alla confluenza dei fiumi Black e Liesbeek è il casus belli della controversia. Il progetto immobiliare approvato nel 2021 prevede che su quella fetta di terra si inizino i lavori per la costruzione di un centro residenziale e commerciale.
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Come è facile immaginare, per gli abitanti del posto non deve essere stata proprio una bella notizia. D’altro canto davanti alla potenza dirompente del mercato libero occidentale è difficile non sentirsi disarmati. Anche se perfettamente occidentalizzati conosciamo ancor di più in questi mesi di guerra la voracità degli impulsi alla conquista e all’espansionismo propri della nostra civiltà, spesso ingiustificati.
A farsi spazio è stata soprattutto un’amara consapevolezza: la guerra esiste e c’è già da sempre, anche e soprattutto in quelle zone e quei territori, per noi, “esotici“. Nel Western Cape non si combatte con le bombe o coi Kalashnikov, a scontrarsi sono due modelli di civiltà e cultura. L’uno è più debole dell’altro e per questo non si vedrà accontentato nelle proprie rivedicazioni, è così che succede.
Lo spettro del colonialismo non è mai stato così palpabile. Arriva improvvisamente in Africa, il Lavoro. Forti di questa imperdibile iniziativa prende corpo il progetto The River Club. Cosa c’entra quindi Jeff Bezos? 70mila metri quadrati del terreno sarà destinato agli uffici di Amazon che frutteranno agli abitanti del posto ben 19.000 nuovi posti di lavoro.
Lo spaesamento è comprensibile e legittimo. C’è chi non vorrebbe familiarizzare con il valore del lavoro, del denaro, della capitalizzazione del proprio tempo, e andrebbe salvaguardato. Città del Capo diverrà il riferimento, in Africa, della multinazionale statunitense. Ma le preoccupazioni della popolazione non riguardano soltanto l’arrivo di un nuovo modello di civiltà.
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Partiamo dall’ambiente: la piana adiacente al fiume Liesbeek rappresenta da sempre un’efficace strumento naturale di contenimento per le alluvioni. Gli indigeni del posto utilizzano quello spazio per rituali e pratiche di connessione spirituale essenziali e fondative per la loro cultura. Ma esiste un consiglio nazionale che si fa carico dei diritti degli indigeni khoikhoi propri di quella zona, e si è mobilitato.
Tauriq Jenkins, portavoce e capo del consiglio (Goringhaicona khoi khoin indigenous traditional council) insieme alla Observatory civic organisation, hanno avuto voce in tribunale. La richiesta, di facile intuizione, è quella di arrestare il progetto e fermare il cantiere. Il progetto sembrerebbe stato approvato in aperta insubordinazione al dipartimento di gestione ambientale della città.
L’amministrazione generale di Città del Capo ha sottolineato invece gli aspetti positivi dell’avviamento del progetto. Positive sarebbero la diminuzione della disoccupazione e l’ingresso di nuove tecnologie. Amazon colonizza i territori africani già dagli anni 2000, tuttavia parrebbe non aver ottenuto con il massimo della trasparenza i permessi per la costruzione. Quello specifico territorio è infatti sito di interesse storico e culturale. L’esito del processo non è ancora noto. Il verdetto è affidato alla giudice Patricia Goliath.