Il petrolio è l’ago della bilancia che regolamenta l’andamento delle borse. Motore dell’economia globale, è l’oggetto più quotato dagli investitori. Analizziamo le quotazioni.
Il mercato asiatico registra in questi giorni un innalzamento dei futures sul pretolio, ma non è il solo. Alla base ci sarebbe il mancato cessate il fuoco della Russia: lo stato di guerra armata in Ucraina. L’Aie, (Agenzia internazionale dell’energia), prevede un calo dell’offerta da parte della Russia che da aprile potrebbe scendere al di sotto dei tre milioni di barili al giorno.
Gli Usa contemplano l’ipotesi di bloccare l’import di gas e petrolio dalla Russia. Le quotazioni delle attività reali, le commodities, legate ovvero a oro, argento, petrolio ecc. sono alla base dei futures sul petrolio. I futures sono dei contratti a termine utilizzati allo scopo di ridurre il rischio determinato dall’incertezza sulle quotazioni delle attività oggetto del contratto. Analizziamo quindi le percentuali.
I due tipi dipetrolio più diffusi sono il WTI ed il Brent. Il primo è estratto in Ameria, in particolare in Texas (da cui il nome, West Texas Intermediate), il secondo proviene dal Mare del Nord. In media nel primo biennio del 2022 la spesa mensile sui prodotti petroliferi, i trasporti e il riscaldamento è aumentata di oltre 40 dollari per nucleo familiare, circa del 35%. Nelle economie avanzate di quasi 20 dollari per famiglia, quasi il 55%.
La quotazione del petrolio è attualmente in salita come mostrano le quotazioni in tempo reale del quoatidiano Borsainside. La percentuale in crescita è attualmente al 111.03%. Insieme all’Aie anche l’OPEC, l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio, monitora la crescita delle quotazioni sul greggio. Ma veniamo al dunque. Dallo scoppio della guerra in Ucraina i prezzi del petrolio hanno oscillato in maniera estrema, fino ad avvicinarsi ai 140 dollari a barile.
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Questa percentuale era stata raggiunta solo nel 2008 con una quotazione di 148 dollari x barile. A sbilanciare i prezzi del greggio ci sono le nuove indicazioni dagli Stati Uniti, spiega Ipsi online, l’istituto per gli studi di politica internazionale. Il blocco alle importazioni di petrolio e gas russo non avrebbe lo stesso effetto sull’Unione Europea. La quota di importazioni a carico degli USA è inferiore al 5%, quella a carico dell’UE è pari al 27%.
Per il gas il discorso non cambia molto, l’Europa è infatti più dipendente dalla Russia rispetto agli USA, il mercato, però, è regionale. E quindi anche l’incremento di prezzi in caso di blocco dell’import sarà regionale. Se infatti la quota rappresentata dalla Russia sul totale delle importazioni di petrolio degli USA è inferiore al 5%, questa stessa percentuale è pari al 27% per l’Unione Europea.
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Per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili russi la Commissione Europea ha stilato un piano in 10 punti. Tuttavia alcuni paesi membri sembrano aver trovato l’antidoto perfetto alla situazione: il ritorno al carbone. Combustibile fossile inquinante per eccellenza resta al soluzione più attraente per via del suo prezzo, inferiore a quello del gas, e per l’ergonomicità.
Il carbone rappresentta cioè la fonte di energia a con cui le centrali elettriche possono convertirsi più facilmente. Duro colto per l’ambiente, quindi. In Italia il presidente del consiglio Mario Draghi ha indicato nella riapertura delle centrali elettriche a carbone la possibile via per fronteggiare la crisi. Anche in Germania si ritarda lo stop alla combustione di carbone, fissata al 2030, di qualche anno.