Ecologia e super bonus, arriva ultimatum. I dettagli

Ecologia e superbonus: nel complesso scenario politico dell’attualità sono questi i temi di dibattito delle alleanze parlamentari. Il casus belli? La guerra stessa.

Ecologia superbonus Draghi
Mario Draghi, premier (Foto di Harri Vick da Pixabay)

Lo scontro aperto è determinato è sorto a seguito di dichiarazioni pubbliche in sede parlamentare e manovre esecutive. Nello specifico è il premier Mario Draghi ad aver sollevato asperità e polemiche.

I temi delle divergenze parlamentari? Superbonus 110% e incremento delle risorse del Pil destinate alla difesa. Diamo spazio alle varie voci del dibattito.

Abbattimento dell’incentivo alla trattativa sul prezzo: come il Superbonus si tramuta nel suo opposto. Il discorso del premier

Ecologia superbonus Draghi
NATO, Ucraina, bandiere (Foto di Wilfried Pohnke da Pixabay)

Dagli ormai trascorsi albori del conflitto sono stati numerosi i provvedimenti approvati sotto il nome di Decreto Ucraina e Decreto Aiuti. In cima alla classifica del dibattito italiano troviamo il SuperBonus, per quello internazionale la strategia atlantica di reazione alla guerra in Ucraina.

Ciò che appare chiaro anche allo sguardo più distratto è il binomio dell’attualità storica: ambiente e guerra. Gli schieramenti post bellici stabilizzatisi nella seconda metà del ‘900 sembrano crollare sotto l’egida della spinta russa che avanza a suon di “operazioni militari” di epurazione dal nazismo. Il conflitto in est-Europa chiama direttamente in causa ambiente ed energia.

Il manico del coltello tenuto saldamente dal Cremlino è quello dei rifornimenti di gas di mezza europa e le sanzioni sempre crescenti hanno costretto i paesi dell’alleanza a ripensare le strategie di approvvigionamento energetico. Oltre al diverso mittente si è cercato di diversificare le fonti di produzione energetica nell’obiettivo comune del raggiungimento dei budget climatici entro il 2030.

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Il polverone lo ha sollevato la dichiarazione del premier Draghi alla plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo. Nonostante la rinnovata stima nei confronti dell’operato del ministro della transizione Cingolani, il presidente non si mostra felice di alcuni provvedimenti presenti nel testo del Decreto legge Aiuti.

In particolare si scaglia contro il Superbonus 110% responsabile, dichiara in sede, del triplicamento dei prezzi per l’efficientamento energetico e di quelli per gli investimenti per ristrutturazioni. La ragione risiede, secondo l’economista, nell’inibizione dell’incentivo alla trattativa sul prezzo favorito dalle detrazioni previste dal bonus.

La reazione più aspra è stata quella del presidente del M5S Giuseppe Conte, ex- premier, che si mostra contrario e sorpreso dalle dichiarazioni di un governo che svaluta pubblicamente un provvedimento che è valso all’Italia il plauso del Presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen.

Il Superbonus è il nome sotto cui cade l’agevolazione fiscale introdotta e disciplinata dall’articolo 119 del decreto legge n. 34/2020, il Decreto Rilancio. In buona sostanza a partire dal 1 luglio 2020 tutti gli interventi di efficientamento energetico possono usufruire di una detrazione sulle spese del 110%. Fra gli interventi rientrano il passaggio a fonti rinnovabili di energia per le infrastrutture pubbliche e private.

Il M5s ha tuttavia rifiutato di firmare il Dl Aiuti per via di una nota non proprio a piè di pagina. Il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha infatti annunciato la decisione di realizzare un Termovalorizzatore come strategia per la gestione dei rifiuti della Capitale, decisione mal digerita dai Verdi, da Sinistra Civica Ecologista e dal M5s.

Il M5s grida al riarmo: le sovvenzioni alle spese militari incontrano il consenso del premier e del Presidente della Repubblica

Fra le cause di frizione interne alle forze politiche rientra la più ampia decisione del governo di destinare il 2% del Pil alle spese militari entro il 2028. La manovra rientra nella generale volontà condivisita dai paesi firmatari del patto di alleanza atlantica di incrementare le difese interne delle rispettive nazioni. La migliore strategia d’attacco è la difesa quindi? Non per tutti.

La Commissione Esteri del Senato ha approvato il provvedimento nell’ambito dell’ordine del giorno sul Decreto Ucraina. Nel fatto, in base alle cifre fornite dal ministro della difesa Guerini, le spese militari italiane si dilatano sino al 2028 rispetto al precedente 2024. La cifra stanziata passa da 25,8 miliardi annui, 68 milioni al giorno, a 104 milioni.

L’esecutivo si impegna fattivamente a rincarare la percentuale di prodotto interno destinate alla difesa militare della nazione. Le divisioni sono importanti nella stessa maggioranza di governo, Draghi ha tuttavia ottenuto il benestare del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

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Il provvedimento è stato mosso da un generale sentimento di corsa agli armamenti fra gli stati della NATO scatenato dalle mosse della potenza russa. Per niente intimidita prima dal generale appello al buonsenso nel mantenimento dell’ordine geopolitico e civile, poi dalle ripetute sanzioni di matrice europea, non ripone le armi. L’isolamento della Russia non ha infatti scoraggiato gli intenti del Presidente della Federazione, Vladimir Putin.

La Germania ha già espresso l’intenzione di elevare il bilancio annuo per la difesa a 100 miliardi di euro annui. Il patto atlantico, siglato nel 1949, segnò l’atto politico di rappresentanza del Blocco occidentale, dando così origine alla NATO. Due articoli del testo in particolare vincolano gli stati membri all’alleanza.

Il casus foederis risponde all’articolo V in cui è dichiarato che ogni attacco alle nazioni membro della coalizione verrà considerato esteso all’alleanza tutta, e il IV che prevede una consultazione internazionale nei casi di minaccia all’integrità territoriale o politica di una delle parti.

Nel 2014 Lettonia, Lituania e Polonia si sono appellate agli articoli a seguito dell’invasione russa della Crimea e, nuovamente, a novembre 2021 in seguito alla crisi dei migranti al confine polacco, in Bielorussia. In tempi recenti, a febbraio 2022, Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania hanno rinnovato l’appello in occasione dell’invasione russa dell’Ucraina.

Nel corso della storia il ricorso agli articoli è stato effettuato più volte senza tuttavia ricevere risposte o interventi significativi. Fra i maggiori oppositori c’è nuovamente il Movimento di Conte, che grida al riarmo e lamenta il mancato passaggio alle Camere nel processo decisionale del premier.

Altro prevedibile antagonista del provvedimento, facente parte del Decreto Ucraina, è il pontefice. Non nasconde la propria vergogna Papa Bergoglio, nel constatare la volontà di diversi gruppi di Stato a destinare risorse economiche nazionali all’acquisto di armi in risposta al conflitto fra Russia e Ucraina.

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