Anguria e cocomero sono la stessa cosa? Sfatiamo un mito sul frutto più amato dell’estate

Il frutto più amato da grandi e piccini. Ecco tutto quello che bisogna sapere sul frutto simbolo dell’estate.

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Cocomero (Foto di Kevin Phillips – Pixabay)

Se chiedete a un bambino cosa mangi d’estate, subito senza pensarci vi risponderà il cocomero. Ma anche anguria.

Questo frutto della famiglia delle Cucurbitaceae è una falsa bacca (o meglio frutto) del Citrullus lanatus, ovvero una pianta erbacea annuale. Vediamo insieme storia, curiosità e corretta nomenclatura di questo frutto buonissimo!

Anguria, cocomero: tutto quello che bisogna sapere

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Coltivazione di cocomero (Foto di lorenzoandreotti da Pixabay)

Le domande che tutti si fanno sono principalmente due: “si dice cocomero o anguria?” e “ma anche sono la stessa cosa?“. Proviamo a dare una risposta a queste domande.

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Nel nord Italia e in Sardegna viene utilizzato il termine anguria. Questo deriva dal greco ἀγγούριον ( pronuncia angoúrion), ovvero “anguria”, “cetriolo”. Nel sud, invece questo ottimo frutto viene chiamato melone d’acqua, così da distinguerlo dal melone di pane (Cucumis melo). Nel centro Italia, invece, cocomero, un termine che deriva dal latino cucumis, ovvero cetriolo. I paesi anglosassoni invece lo chiamano watermelon, ovvero melone d’acqua. Ma qual é il nome più corretto? Senza ombra di dubbio è cocomero, che è il nome datogli dai botanici. Possiamo però affermare che cocomero e anguria sono la stessa cosa.

Storia del cocomero

L’anguria è un frutto antichissimo, nato nelle zone tropicali dell’Africa boreale, coltivato addirittura dagli antichi egizi. A riprova di ciò un geroglifico di oltre 4000 anni fa, presente su una tomba, lo rappresenta come un grande frutto a strisce. Gli antichi egizi spesso ponevano alcuni viveri per accompagnare il defunto durante il viaggio nell’aldilà. Tra questi anche il cocomero.

Durante l‘Era Cristiana, I secolo d.C, questo frutto era conosciuto e diffuso in tutta la zona mediterranea. E, come oggi, con più nomi: pepon in greco, pepo in latino e avattiah in ebraico. A riprova di questa grande diffusione alcuni testi in ebraico del II secolo d.C. e quella latina dell’inizio del VI secolo d.C. Quest’ultima, addirittura, presenta i cocomeri insieme a tre frutti dolci: fichi, uva da tavola e melograni.

Il medico ed esploratore scozzese dell’Età Vittoriana, il Dott. Livingston ha poi descritto, per la prima volta, la presenza di cocomeri selvatici presso il deserto del Khalari: Citrullus lanatus var citroides o tsamma. In America, invece, questo frutto arrivò tramite le grandi navi negriere utilizzate per la tratta degli schiavi. Il motivo? Il cocomero era una fonte naturale d’acqua e di zuccheri e risultava utile durante le faticosissime traversate.

Coltivazione, quello che bisogna sapere

A prescindere dalla varietà che vorrete coltivare (baby, polpa gialla o bianca, senza semi ecc) le regole sono sempre le stesse. La prima riguarda lo spazio. Questa pianta ne richiede tanto perché è caratterizzata da fusti strusciante e grande foglie palmate di colore grigio-verde. L’altezza, di solito, non sfiora i 60 cm mentre larghezza, comprese le radici superficiali, si attestano intorno ai 5 metri. Assicuratevi, qualora voleste coltivarlo, che il terreno sia ricco, ben drenato e con tanto sole. Infatti questo frutto annuale non resiste al freddo e non cresce sotto ai 15 °C.

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La semina del cocomero avviene tra marzo e aprile, dopo che il terreno è stato ben lavorato. Questo deve infatti risultare morbido e fertile. Per renderlo tale già in autunno aggiungono il concime nelle terra, che deve essere vangata per almeno 30 cm di profondità. Prima della semina il terreno dovrà essere fertilizzato con un concime ad alto contenuto di potassio. Per seminare bisogna mettere 3 – 4 semi nelle buchette a distanza l’una dall’altra di 120 cm. Quando nasceranno le prime piante, è importante lasciarne nella buchetta solo una. Altra accortezza: tagliare dopo la terza foglia, in modo che possano nascere altri tre rami che andranno disposti a raggiera e, successivamente tagliati dopo la quarta foglia.

Quando nasceranno i frutti, che potrebbero essere anche venti per pianta, è necessario fare una selezione. Di norma se ne lasciano tre così da averne di grandi dimensioni. Un trucco, per evitare il marciume, è quello di porre della paglia sotto il cocomero. Le annaffiature non devono essere esagerate ma solo abbondanti, in modo da mantenere il terreno fresco e umido.

Affinché il cocomero raggiunga la completa maturazione servono dai 70 ai 90 giorni, tenendo ben in mente che le condizioni climatiche possono influenzare la maturazione del cocomero. Di norma, in Italia, il cocomero si raccoglie tra la seconda metà di luglio e il mese di agosto. Per capire se il momento è quello giusto si controlla se il frutto si stacca facilmente dalla pianta e se il peduncolo è diventato giallo. Altro modo è dare un colpo con le nocche delle dita: se il suono sarà cupo e sordo sarà perfetto.

Malattie e cure

Come tutte le piante della famiglia Cucurbitaceae, anche il cocomero si può ammalare di antrachinosi, una malattia fungina che si manifesta con la formazione di macchie che fanno marcire il frutto. Se queste però sono gialle la nostra anguria è, invece, il segno della cladosporiosi. Un’altra malattia è il mal bianco delle Cucurbitaceae: ovvero una polverina bianca che si presenta sulle foglie di cocomero che, poi si seccano.

Se i frutti sono di dimensione piccola vuol dire che le innaffiature sono state scarse o che nel terreno mancano i giusti nutritivi, e in caso bisogna aggiungere del potassio. Anche un terreno pesante è rilevante: infatti non permette lo sviluppo delle radici. Per risolvere questo problema i terreno, prima della semina, va mescolato con delle sabbia.

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