L’energia pulita: sembrava tutto risolto con il piano europeo. Invece, un problema tecnico ha lasciato tutti con l’amaro in bocca.
Qual è il problema dietro lo stop all’energia pulita e al piano europeo di riferimento? L’energia pulita presentata dal piano europeo si basa sull’aumentare gli impianti di produzione da fonti rinnovabili. Fin qui è tutto perfetto, finché poi non si sono fatti i conti con la realtà.
Infatti, la strategia dell’Unione Europea sarebbe andata benissimo in un continente pieno di risorse minerarie tali da dare la reale possibilità di progettare e creare gli impianti da zero e senza importazioni. Purtroppo le cose non stanno proprio così.
Energia pulita, il piano europeo rischia di fallire ancora prima di iniziare
Infatti, il tallone d’Achille dell’Unione Europea è proprio il fatto che non ci sono nel territorio europeo abbastanza materiali per poter ottenere gli impianti nei tempi previsti dal piano energetico internazionale. Certo, il denaro non manca per importare queste materie prime, ma la recente chiusura dei mercati per via del conflitto in Ucraina ha creato una situazione dove è difficile reperire questi materiali. In particolare, a mancare sarebbero rame, litio e cobalto, senza contare anche il silicio, che ha un vasto impiego nel mondo del fotovoltaico. Il piano europeo ha questo problema tecnico ancora prima di iniziare.
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Entro il 2030, l’UE si è impegnata a ridurre del 55% le emissioni di gas, punto di non ritorno che dovrebbe portare a emissioni zero nel 2050. Nei prossimi 8 anni, quindi, l’UE dovrebbe arrivare a 1200 GW di energia elettrica da fonti rinnovabili. Un obiettivo che agli occhi degli esperti sembra ambizioso, forse anche un po’ azzardato. Infatti, per raggiungerlo, il territorio dovrebbe avere il 35% di rame e alluminio in più rispetto a oggi, oltre al 45% in più di silicio. Se si parla di cobalto, i dati sono sconfortanti: ne servirebbe il 330% in più.
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Per poter risolvere il problema tecnico, le soluzioni sul tavolo sono due. La prima è aumentare i rifornimenti in Africa e America Latina. La seconda è di dividere diversamente il carico, dando uno slancio iniziale nel 2025 e poi allungando i tempi di circa 10 anni. La domanda è: il clima potrà aspettare?