Crisi alimentare, la situazione è insostenibile: i cibi che non si trovano più

In Australia non c’è più lattuga. KFC, il colosso del fast food, la sta sostituendo con il cavolo. Ma non è l’unico stato in crisi. Cosa sta succedendo?

Crisi alimentare manifestazione
Manifestazione (Foto di Dominic Wunderlich da Pixabay)

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In Australia non c’è più lattuga. KFC, il colosso del fast food, la sta sostituendo con il cavolo. In Irlanda non arrivano più pomodori, fattore che ha costretto ad inserire la scritta “a corto di scorte” nei supermercati centrali.

Beh, almeno il pane sarà rimasto: quanto pare no. Grano e cereali sono gli alimenti naturali maggiormente colpiti dalla crisi alimentare. Faccciamo il punto della situazione cercando di capire le ragioni alla base del fenomeno.

Crisi alimentare: le condizioni all’origine del fenomeno e le inevitabili conseguenze

Crisi alimentare continenti
Continenti (Foto di Clker-Free-Vector-Images da Pixabay)

I prezzi dei prodotti al supermercato sono aumentati visibilmente. A seguito del caro prezzi del carburante un‘inflazione galoppante sta investendo numerosi paesi europei e non solo. Quali sono le cause scatenanti di un fenomeno così poco auspicabile? Nella storia corrente, almeno 3.

La pandemia da SARS-CoV2, la guerra in Ucraina e la crisi climatica. Le tre cause non sono in ordine di importanza (nota per il platinato ex presidente degli USA). Il grano ucraino bloccato nei porti ha impedito lo stoccaggio delle materie prime nei magazzini dei paesi importatori.

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L’Ucraina, titolavano la maggior parte delle testate, non è più il granaio d’Europa. Molti territori e terreni coltivati sono stati di fatto soppiantati da macerie e ordigni di guerra. Ma la crisi portata all’attenzione pubblica dalla guerra in est-Europa non è di certo stata orchestrata dal solo presidente della federazione russa.

A gravare su una situazione economica già fortemente indebolita dalle reclusioni coatte rese necessarie dalla pandemia di SARS-CoV19, c’è, verrebbe da dire, finalmente, il nocciolo della questione, e non è di certo la guerra. Arriva dall’alto dei cieli in stile deus ex-machina quello che abbiamo voluto ignorare da sempre: il cambiamento climatico.

In Australia la lattuga scarseggia a causa delle inondazioni ripetute che hanno interessato il continente/stato nei mesi primaverili. I territori del New South Wales e del Queensland sono stati colpiti, nel mese di marzo, da inondazioni senza precedenti.

In Irlanda i pomodori non sono arrivati per via delle piogge torrenziali, decisamente fuori stagione, che hanno colpito il paese esportatore di riferimento: la Spagna. Le piogge hanno inevitabilmente distrutto le colture di pomodori. Il maggiore produttore di cereali al mondo, la Cina, ha dovuto affrontare un simile destino.

Nello scorso autunno diverse alluvioni hanno interessato i campi di grano e cereali appena seminati. Se da un lato alcuni paesi hanno dovuto fare i conti con violente precipitazioni, dall’altro la pioggia ha smesso di fare parte degli eventi climatici di buona parte del globo.

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Le Nazioni Unite stimano che dal 2000 le fasi di siccità sono aumentate per frequenza e durata di circa il 29%. Nel 2021 tutto il versante occidentale dell’America è sato colpito da una siccità tanto violenta da essere definita dalla rivista Nature come la più violenta degli ultimi 1200 anni.

Anche l’India ha bloccato l’export cerealicolo per via dell’ondata di calore senza precedenti che ha interessato la nazione. Le temperature hanno raggiunto i 50C°, stessa sorte se non peggiore è toccata al Pakistan, dove gli uccelli hanno iniziato a cadere in terra sfiniti dal calore.

Stessa sorte è toccata ai campi di zucchero, di cui l’India è maggiore produttrice al mondo. La bolla di calore a cui stiao assistendo investe letteralmente come una bolla tutto il globo. Il direttore del World Food Program l’ha descritta come una cintura di fuoco che circonda la terra.

Passa attraverso l’America, il Shael e il Medio Oriente fino a tornare ai Caraibi. Ma spostiamoci in Europa. Considerando i territori complessivi dell’Unione, proviamo a considerare il quantitativo di cereali prodotti dal nostro continente. 140 milioni di tonnellate di grano e 70 tonnellate di mais sono il quantitativo netto delle nostre produzioni.

Stando a questi dati l’Europa sarebbe il secondo prodotture di cereali al mondo, ma cosa sta succendendo oggi in Europa? Non piove da dicembre, Danubio, Reno, Po e Tevere sono prosciugati e sulle Alpi non c’è più neve. Le colture più colpite secondo Coldiretti sono quelle di mais, riso e soia.

Ciò significa che gli alimenti base come pane, pasta e riso, incontreranno una brutale inflazione sotto forma di imposte indirette, ma nemmeno tanto, sui consumi. Questi alimenti sono inoltre gli ingredienti principali della dieta deputata al doddisfacimento del fabbisogno animale negli allevamenti.

Ciò significa che sono a rischio anche loro. L’Italia ha avanzato la richiesta, approvata dall’Ue, di coltivare anche terreni solitamente a riposo. La domanda sorge spontanea: senza piogge e senz’acqua, come cresceranno le colture? I territori aridi su scala globale rappresentano già il 46 % delle terre emerse e la percentuale è destinata a salire.

Il fenomeno non interessa solamente continenti “esotici” rispetto al nostro come l’Africa o il Medio Oriente, colpito da violente tempeste di sabbia in questi giorni, ma l’Italia stessa. Il 20% del nostro territorio è a rischio desertificazione e all’altezza del delta del Po l’acqua di mare ha iniziato a risalire la foce del fiume.

L’acqua di fiume contaminata dall’acqua salata non può che destinare i raccolti alla rovina. L’irrigazione è stata sospesa nelle zone adiacenti il fenomeno per evitare la compromissione definitiva dei terreni. Entro il 2040 la nostra penisola dovrà affrontare uno stress idrico senza precendenti.

L’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) prevede per i prossimi anni che circa 120 milioni di persone saranno a rischio siccità estrema. L’Africa è il contenente che maggiormente risentirà dello stato di cose attuali. La guerra infatti è stata la ciliegina su una condizione di estrema precarietà.

L’Africa si rifornisce di mais, grano e olio di girasole dalla Russia e dall’Ucraina finoa coprire l‘80% delle sue necessità di approvvigionamento. La FAO ha proposto come alternativa all’economia globalizzata quella del modello economico basato sulla produzione locale.

Sono numerose le speculazioni finanziarie che investono su quella che sarà l’arma del futuro: il cibo. La sperequazione dei beni è il marchio distintivo della nostra era, è ciò che ha mandato lo Sri Lanka in default economico e che rende i paesi in via di sviluppo come l’Africa i primi a subire le conseguenze del capitalismo.

La Cina in tutto questo scenario si è accaparrata il 69% delle riserve di mais e il 50% di quelle di grano in vista dello scenario futuro e par fronte all’insicurezza alimentare interna. Le tonnellate di cibo sprecate dall’Unione europea annualmente sono spaventose.

Le percentuali di acqua dolce consumata e sprecata lasciano perplessi. Gli anni futuri che ci spettano saranno contrassegnati dagli effetti deteriori destinali di un sistema di produzione aggressivo basato su profondi dislivelli sociali, politici ed economici. Forse è troppo tardi per rimediare, per fortuna in Russia c’è chi ci dà da parlare.

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