Lavare i panni è un’attività che accomuna tutti i popoli fin dalla notte dei tempi
Il termine “bucato” deriverebbe da bukòn, una parola francone (il ceppo di lingue germaniche parlate nell’allora Regno dei Franchi) che significava “lavare”. In italiano questo verbo si è trasformato in “bucare”, e quindi “fare il bucato”.
Ma è anche possibile che l’espressione “fare il bucato” derivi da un metodo che si usava per lavare i panni prima dell’avvento di detersivi e lavatrici.
Nel Medioevo le donne mettevano i panni in un recipiente di legno o di terracotta, che poi coprivano con un telo bucherellato (ceneraccio). Quindi vi rovesciavano sopra un composto di acqua bollente e cenere di legna (ranno o liscivia), che fungeva da detersivo. Il telo bucato filtrava la cenere del ranno che puliva bene i panni. Il “bucato” veniva poi sciacquato nelle fontane.
“Fare il bucato” si dice anche in castigliano (hacer la colada) e in catalano (fer la bugada). In inglese, francese e tedesco si dice “fare il lavaggio”, rispettivamente: to do the washing, faire la lessive e die Wäsche waschen. In portoghese è “lavare la roba”: lavar a roupa.
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Stiamo parlando di un metodo che veniva attuato nel lontanissimo Medioevo. Le donne di quel tempo usavano mettere i panni da lavare all’interno di un recipiente di terracotta o di legno, per poi andarlo a coprire con un telo con dei buchi, meglio noto come ceneraccio.
Coperti i panni, procedevano con l’aggiunta di acqua bollente e cenere di legna (queste due cose venivano usate al posto del moderno detersivo). A questo punto, dal telo veniva filtrata la cenere del ranno che non faceva altro che andare a pulire per bene i panni. Da qui, il termine bucato.
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Fatti tutti questi passaggi, poi, il bucato veniva lasciato nelle fontane. Questo perché dopo si andava al passaggio successivo: il risciacquo. Un procedimento lungo, ma necessario che oggi risulta essere decisamente obsoleto. Nonostante la lavattrice, però, il termine fare il bucato è più attuale che mai e viene usato praticamente da tutti.