Settimana lavorativa corta, in alcuni paesi è una realtà sempre più concreta a favore della produttività. E in Italia? Facciamo chiarezza sul punto.
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Il lavoro nobilita l’uomo certamente, il vecchio modo di dire ha ragione ma forse è meglio rivalutare un po’ il tutto. Più che altro negli ultimi tempi si è assistito ad un rovesciamento delle priorità insite in ognuno di noi col rischio inevitabilmente di ottenere un’inversione dei valori. E’ il momento quindi di sistemare nuovamente questa scala gerarchica in modo che veda altri aspetti come principali afferenti la vita personale.
Partendo dal presupposto che bisogna lavora per vivere e non il contrario, alcuni paesi si stanno adoperando nel creare la settimana corta. Non è affatto un’utopia ma un qualcosa che a quanto pare porta già i suoi benefici. Scopriamo quindi di cosa si tratta e se questa manovra verrà attuata anche in Italia.
Settimana corta, tutelare il capitale umano per la produttività
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La settimana corta consiste nel dedicarsi al lavoro dal lunedì al giovedì ed avere così tre giorni settimanali liberi, un lungo weekend per dedicarsi al proprio relax o fare quelle commissioni che nei giorni lavorativi diventa veramente difficile portarli a termine. Lo stipendio non verrebbe intaccato minimamente ma a condizione che venga assicurata la stessa produttività.
Complice di questa manovra è certamente la pandemia la quale ha dimostrato come la concezione del lavoro sia cambiata ed abbia subito una flessibilità, capaci i lavoratori di portare a termine il proprio operato anche in condizioni avverse. Infatti dai primi studi sulla settimana corta è emerso un aumento della produttività nella misura pari al 40%, una cifra non indifferente.
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Sono tanti i paesi che si stanno prodigando per la settimana corta: in Islanda l’86% dei lavoratori ha già la settimana corta. In Svezia e Norvegia si lavora 6 ore al giorno mentre in Danimarca si lavora 33 ore a settimana. Anche nel Regno Unito si sta tentando questa manovra, riducendo le ore del 20% mantenendo le stesse condizioni salariali. E l’Italia? Non resta che attendere, colmi di fiducia.