Origine dell’uomo, la rivoluzionaria scoperta lascia tutti esterrefatti

L’origine dell’uomo cambia datazione grazie a nuove tecniche scientifiche: scopriamo insieme i risultati emersi con le nuove metodologie.

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“Little Foot” l’australopiteco più antico ritrovato (foto da Facebook)

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L’origine dell’uomo è un’appassionante mistero che si pensava fosse stato svelato. Ma come nelle migliori indagini quando le tecniche di investigazione progrediscono e forniscono metodologie avanzate, tutto può essere rimesso in discussione. La scienza sempre in continuo divenire non smette di stupire.

La datazione della comparsa dell’uomo sulla terra ha da sempre impegnato i migliori scienziati del mondo. E anche se i ritrovamenti del passato avevano fatto luce sulle possibili origini umane, gli studi non si sono fermati e la costanza ora ha portato a nuovi e incredibili risultati.

L’origine dell’uomo cambia data grazie al progresso scientifico

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Scheletro intero di “Little Foot” (foto da Facebook)

Nel 1947 il paleontologo Robert Broom consegnò al mondo una delle più importanti scoperte dell’umanità. Il ritrovamento del più antico fossile di Australopithecus africano, Mrs Ples! Successivamente nel 1997 Ronald J. Clarke scoprì Little Foot, un piccolo scheletro quasi intatto che si è rivelato il più vetusto mai rinvenuto.

I ritrovamenti sudafricani nella cosiddetta “Culla dell’Umanità”, la grotta di Sterkfontein, avevano consentito di datare i primi resti fossili umani a circa 2 o 2,5 milioni di anni fa. Ma le recenti tecniche di datazione hanno anticipato notevolmente il periodo della comparsa dell’uomo sulla terra. Evidentemente ci si sbagliava. E non di poco.

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I recenti studi affermano che la nuova datazione a cui riferirsi per l‘origine umana si attesta intorno ai 3,4 o 3,7 milioni di anni fa. Un milione di anni prima dunque, rispetto alle precedenti teorie. La conferma di tale datazione sposterebbe l‘inizio dell’evoluzione umana.

La pubblicazione di tali scoperte sulla rivista scientifica PNAS, ufficializza il riposizionamento temporale che andrebbe a scalzare anche “l’età della famosa Lucy”, fatta risalire a 3,2 milioni di anni fa. Tutto rimesso in discussione con l’Australopiteco che compare un milione di anni prima del genere Homo.

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Il nuovo metodo di datazione utilizza due isotopi particolari: l’alluminio 26 e il berillio 10. Il professor Darryl Granger ha diretto il team di esperti. Professore di scienze terrestri, atmosferiche e planetarie della Purdue University in America, si conferma leader mondiale nella datazione di reperti archeologici.

E quindi indubbio lo straordinario contributo fornito dalle nuove procedure che consentono di collocare in un nuovo spazio temporale la comparsa dell’uomo sulla terra dando di fatto una svolta considerevole nell’ambito degli studi evoluzionistici.