Moda Sostenibile, Primark risponde così alla crisi economica

La sostenibilità non va di moda. Questo il risultato dell’indagine commissionata dal colosso della moda cheap Primark alla londinese One Poll.

Primark indagine centro
Primark – Foto di Filip Altman da Pixabay

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La crisi economica sta generando numerose crepe nel tessuto sociale delle famiglie europee. L’inflazione ha colpito in primo luogo i prezzi dell’energia, il consumo di elettricità e gas ha iniziato ad essere monitorato e gestito con grande parsimonia dati i prezzi quasi triplicati comparsi in bolletta negli ultimi mesi dell’estate.

Ma non è quello energetico l’unico settore a subire stangate. Il settore della moda sostenibile, già guardato con diffidenza prima della crisi climatico-ambientale, sembrerebbe oggi evitato come la peste dai consumatori. Le ragioni? Ce le spiega One Poll fornendo i rilutati dell’indagine di mercato commissionatagli dalla catena di distribuzione tessile Primark. Vediamo più nel dettaglio.

Moda sostenibile: Primark svela le ragioni della sua insostenibilità. One Poll analizza le preferenze dei consumatori

Primark indagine sartoria
Sartoria – Foto di Lara Gonzalo da Pixabay

Primark Italia bussa alla porta della società di ricerche di mercato One Poll. Con sede a Bristol e Londra, One Poll ha condotto delle analisi di mercato sui trend di consumo prendendo a campione mille italiani adulti. Lo scopo? La multinazionale irlandese del fast-fashion è incuriosita dall’andamento dei consumi in campo di moda sostenibile.

Primark, azienda irlandese con sede centrale negli Stati Uniti, è a tutti gli effetti un colosso del fast-fashion. Sorta inizialmente nella sola Irlanda, a Dublino, col nome di Penneys, vanta oggi numerose sedi sparse per il mondo. Che sia con il nome di Primark o Penneys, la catena si è assicurata di piantare almeno un punto in vendita in Austria, Germania, Francia, Paesi Bassi, Belgio, Regno Unito, Portogallo, Slovenia, Spagna, Italia e, ovviamente, la patria del consumo sfrenato: l’America.

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D’altro canto, se un’azienda con così ampio sprettro d’azione, visibilità e disponibilità economica commissiona una simile indagine, deve essere veramente bene intenzionata. Sarà mica uno dei tanti esempi di Green-washing? Non importa, ciò che è centrale ora è analizzare i risultati di quest’indagine lastricata di buone intenzioni.

Un milione di italiani, nel periodo compreso fra il 18 e il 23 agosto dell’anno corrente, sono stati interrogati su gusti e abitudini in fatto di moda. Le statistiche ricavate dalla ricerca di One Poll ci raccontano degli effetti dell’inflazione, che ha raggiunto (si spera) il parrossismo nell’ultimo anno, sulle famiglie italiane.

Il 95% per cento dei cittadini italici è preoccupato, il 48% dei consumatori contenuti nel range di età dei 18-44 anni, teme di non poter più mantenere il tenore di vita fino ad ora adottato. In tutto ciò, che fine fa la preoccupazione per l’ambiente? Semplice, sparisce sotto l’egida dell’inflazione.

Solamente il 30% dei consumatori si domanda quale sia stato l’impatto ambientale della filiera produttiva originaria della t-shirt appena acquistata. Il fattore economico sposta il focus sullo stato delle proprie finanze piuttosto che su quello dell’interno pianeta, favorendo la classica ottica miope individualista che probabilmente ci condurrà al collasso.

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Il costo di un capo di abbigliamento viene prima di considerazioni limitrofe come la qualità del tessuto, il comfort che regala e l’impatto che procura sugli ecosistemi. In un semplice slogan: that’s how fast-fashion works. Si compra di più e aprezzo stracciato, i prodotti sono di bassissima qualità e difficilmente tracciabili quanto alla produzione originaria.

Questo è almeno ciò che raccontano le stime italiane, quelle del paese retrogrado per eccellenza. L’abbigliamento sostenibile viene percepito come una scelta “di nicchia”, “sofisticata”, “costosa”, da “radical chic” o da “ambientalisti“. Il 31% dei consumatori, rintontiti dalle propagande sbagliate, risulta disincentivato all’acquisto green.

Fra le altre ragioni, al di là di surrettizi fattori ideologici, a scoraggiare il 21% dei consumatori è anche la difficile individuabilità di negozi che vendono prodotti sostenibili, l’incapacità di saperli abbinare o trattare (20%). Per riuscire a creare un guardaroba green, il primo step da compiere consiste nel provarci, quantomeno. Primark, cosa puoi fare per migliorale la tua politica aziendale oltre che commissionare indagini? L’interrogativo è di rilievo.

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