Mele, sono una vera eccellenza del Made in Italy ma qualcosa sta cambiando con il caldo. Ecco tutti i dati della stagione
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Le mele sono tra i frutti più apprezzati dell’autunno. Lungo tutto il territorio, ed in particolare in alcuni posti ad hoc come il Trentino Alto Adige, se ne trovano immense coltivazioni. Un vero gioiello della nostra terra con specie diverse che si distinguono per colore ma anche fragranza e sapore.
Secondo i dati diffusi da Agea quest’anno sono stati 1.294 gli ettari di terra del nostro Paese interessati dalla coltura delle mele. Un dato ampio ma non rassicurante se confrontato con quello dell’anno scorso. La produzione, infatti, è cambiata e lo scenario non è per niente confortante. È tutta colpa del caldo.
1,8% in meno di produzione di mele rispetto allo scorso anno con una stima che si aggira intorno ai 729.816 quintali di frutti. Grandi numeri certo ma che descrivono chiaramente come le alte temperature dell’estate non hanno aiutato per nulla la coltivazione.
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Le piante, infatti, sono state sottoposte ad un forte e continuo stress che ha influito sull’esito della produzione. La quantità è diminuita ma non si può dire, fortunatamente, della qualità. Lo stato delle nostre mele, infatti, è ottimo continuando ad essere un must ed un vanto per l’Italia.
Il livello dunque rimane alto sebbene la produzione sia diminuita. C’è da dire, infatti, che tra tutte le coltivazioni le mele hanno sofferto di meno rispetto ad altre specie la siccità. Questo è stato possibile grazie ai moderi sistemi di irrigazione che si trovano nelle lunghe distese di piantagioni che hanno permesso agli alberi di ricevere il giusto apporto d’acqua.
Cosa ci insegna tutto questo? Che il sistema idrico presente nei meleti è efficiente e proprio per questo dovrebbe fungere da standard per permettere anche ad altri tipi di colture di essere sostenute in questo modo per un’irrigazione continua.
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I cambiamenti climatici implicano un riassetto dell’agricoltura ed il caso dei meleti tricoliri dimostra che con le giuste attrezzature si può resistere. In alternativa, poi, resta anche una seconda chance. Ridurre le quantità di quelle colture che richiedono enormi quantità di acqua e adibire i terreni ad altri seminati.