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Nord Stream, è un vero disastro: il Mar Baltico ribolle

Nord Stream, l’ecosistema marino del Mar Baltico è vessato dalle attività umane. Ancora una volta siamo carnefici dell’ambiente.

Mare – foto da pixabay

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In un articolo precedente si parlava delle tre fughe di gas intercettate su due dei gasdotti che attraversano il fondale del Mar Baltico trasportando gas da Germania a Russia.

I danni ancora dovevano essere quantificati e c’era chi, addirittura, parlava di un episodio di poco conto. Le cause determinanti le rotture in precisi punti dei gasdotti sono ancora avvolte nel mistero, c’è chi si dice convinto delle intenzioni dolose di una delle due potenze. Ma parliamo della vera vittima dell’accaduto: il mare.

Nord-stream: l’ecosistema marino e la biodiversità del Mar Baltico fanno i conti con il metano russo

Metano – foto da pixabay

I gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2 collegano Vyborg, in Russia, a Greifswald, in Germania, passando nelle profondità del Mar Baltico. Cos’è accaduto? Sono state rintracciate ben 3 fughe di gas metano lungo il corpo dei due gasdotti.

Giorni dopo l’accaduto i danni iniziano a manifestarsi sulla superficie dell’area coinvolta. Si tratterebbe di un tratto di mare di estensione variabile, si misura un’area di interesse pari ad 1 km. Le immagini registrate mostrano quello che sembrerebbe un vero e proprio geyser a cielo aperto.

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Le stazioni di rilevamento di Svezia e Danimarca hanno registrato delle esplosioni subacquee alle quali sono seguite le fuoriuscite di metano. L’aspetto interessante è che i due gasdotti non erano in funzione. La ragione delle fuoriuscite si fa risalire alla presenza di gas compresso nelle tubature, sollecitato a seguito delle esplosioni.

L’accaduto solleva tuttavia numerosi interrogativi. La società che gestisce gli impianti è la Nord Stream AG (North European Gas Pipeline Company). La società è costituita, con diverse percentuali di interessi (in ordine decrescente), dalla Gazprom, la Ruhrgas, la Wintershall, la Nederlandse Gasuine e la Gaz de France-Suez.

L’aspetto centrale è, nuovamente, il danno ambientale. Il gas continuerà a defluire, nella migliore delle ipotesi, ancora per una settimana. Le possibilità d’intervento sono, al momento, inesistenti. Se vogliamo essere positivi possiamo dire sicuramente che il danno della fuga di gas è minore rispetto a quello di una fuga di petrolio.

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Il metano, CH4, non genera maree oleose sull’acqua ma le conseguenze sull’ambiente, l’ecosistema e il cambiamento climatico non sono di certo da sottovalutare. La navigazione è stata intanto vietata nell’area interessata dal disastro. Il capo del dipartimento d’energia danese ha sottolineato come il metano a contatto con ossigeno e area diventi estremamente infiammabile.

Ciò potrebbe facilmente dare adito a esplosioni impreviste assieme al fatto che, ad alte concentrazioni di gas in mare, corrisponde una scarsa galleggiabilità delle imbarcazioni. Le prime stime parlano di 115 mila tonnellate di metano rilasciate nell’atmosfera in poche ore, ovvero 9,6 milioni di tonnellate di Co2.

 

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