Semine a rischio, il costo dei fertilizzanti è raddoppiato: agricoltori in ginocchio

In tempo di guerra l’inflazione regna sovrana in ogni ambito del mercato. Oggi ci occupiamo delle speculazioni in ambito agricolo sul costo dei fertilizzanti.

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Campo coltivato – foto da pixabay

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La guerra voluta e resa effettiva dalla Russia in territorio ucraino è una realtà dei giorni nostri. Il conflitto, sorto per ragioni legittime per certe teorizzazioni, illegali invece se le si pone a movente per una guerra ex abrupto, ha sconvolto i rapporti geopolitici dell’Europa tutta.

Oggi affrontiamo il tema della speculazione finanziaria in una delle sue forme accettate dal mercato globale: l’inflazione. Il settore vessato, fra i tanti colpiti, oggetto dell’analisi, è quello dell’agricoltura.

Semine a rischio: fertilizzanti inavvicinabili sul mercato

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Spighe di grano – foto da pixabay

Coldiretti ha portato avanti un’analisi di mercato sull’andamento dei costi del fertilizzante su scala europea. Il risultato? Per l’Italia è diventato praticamente impossibile acapparrarsi le derrate necessarie a garantire produttività dei campi seminati e buona riuscita dei trapianti autunnali. Ma qual è il nesso?

Partiamo da un fatto: il costo del fertilizzante è raddoppiato. A seguito del caro prezzi è seguita una concatenazione di eventi di natura economica a dir poco spiacevoli. Le aziende agricole italiane hanno tagliato 1/3 delle spese dedicate ai fertilizzanti, determinando di fatto una rischio considerevole per semine e raccolti.

I raccolti Made in Italy stanno di fatto incassando colpi durissimi seppure già fortemente compromessi. Per uscir fuor di metafora la faccenda risulta più chiara se inquadrata in questi termini. Il balzo delle quotazioni sui fertilizzanti è stato favorito, determinato e, per certi aspetti, garantito, dalla sua provenienza in termini geografici.

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L’Italia ha importato dall’Ucraina soltanto lo scorso anno 136 milioni di chili di fertilizzanti, dalla Russia altri 171 milioni di chili e dalla Bielorussia 71 milioni. Ora forse il quadro si fa più chiaro. L’analisi di Coldiretti prende le mosse dai dati registrati dall’Istat che parlano di una quota superiore al 15% delle importazioni totali.

La guerra ha favorito le speculazioni in ambito finanziario relative al settore agricolo piegando di fatto le braccia dell’agricoltura italiana. Se si aggiunge alla guerra la precedente ondata pandemica, rievocativa dei giorni peggiori del Decamerone, le conseguenze su economia e produzione agricola si fanno ancor più preoccupanti.

Coldiretti Puglia evidenzia come gli agricoltori pugliesi abbiano dovuto sborsare 600 euro in più ad ettaro solo quest’anno per garantire ai propri terreni il grano sufficiente per le semine. L’inflazione ha interessato a valanga i costi di gasolio, sementi e fertilizzanti, un trittico letale per l’economia agricola.

La produzione di grano duro è per forza di cose crollata. E la siccità? Il cambiamento climatico occuperà pure un posto di rilievo in questo panorama già incredibilmente surreale. Ebbene sì: la produzione di grano è crollata del 40%, sotto i colpi di inflazione e cambiamento climatico, nella sola Puglia.

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I prezzi dei fertilizzanti sono stati gonfiati dalle sanzioni europee ai danni delle aziende bielorusse produttrici di potassio subito dopo l’invasione russa in territorio ucraino. Coldiretti conclude sia necessario incentivare la produzione di fertilizzanti organici, soluzione tutto sommato ottimale per l’ambiente e la transizione caldeggiata dai governi mondiali.

Per fertilizzanti organici si intendono quei composti che possano fare a meno di urea (ad oggi balzata a 1.1oo euro a tonnellata contro i 540 per tonnellata dello scorso anno), perfosfato (470 euro per tonnellata contro i 185 dello scorso anno), e potassio (1005 euro per tonnellata vs 455 euro).

Da promuovere sarà l’utilizzo del digestato, composto ottenuto da biometano e biogas, fonti cosiddette alternative di energia. Altro provvedimento necessario sarà quello che consenta l’utilizzo dell’azoto oltre i 170 kg per ettaro l’anno. In Italia ad oggi più di un’azienda agricola su 10 si trova costretta a chiudere e il 34% delle aziende nazionali lavora a reddito negativo.