L’universo con le sue leggi fisiche può sembrare apparentemente inspiegabile ed inconoscibile ad un primo sguardo. Ciò che dimentichiamo è che è la nostra casa.
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Dalla meccanica classica alla quantistica, dalla teoria della gravitazione universale alla relatività generale, ne sono possate di idee sotto il nostro cielo.
Le più resistenti sono sopravvissute al vaglio delle scienze “dure”, le più deboli hanno certamente fatto la storia inaugurando un fruttuoso movimento in avanti del pensiero. Oggi parliamo di un principio cosmologico che ha rivoluzionato il modo di intendere la scienza.
L’universo è regolato da un insieme di leggi che hanno garantito la possibilità d’esistenza della nostra civiltà
In meccanica e fisica quantistica, ma, più, generalmente, nell’ambito della fisica teorica in generale, si raggiungono livelli di astrazione che rendono necessaria l’adozione di un’ottica “prescrittiva” sulla realtà che si osserva e cerca di descrivere. Cosa significa?
Ciò significa che essendo impossibile per l’uomo poter fare a meno del proprio punto di vista nell’osservazione, ad esempio, della struttura microscopica della materia, ci si arma di solidi apparati teorici che spieghino alla perfezione un dato fenomeno della realtà sebbene non siano poi comprovati da una verifica fattuale.
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Simile procedimento è da una parte fuorviante, poichè costringe a fidarsi ciecamente di mere costruizioni teoretiche, dall’altro è costruttivo nella misura in cui spiega la realtà attraverso modelli privi di contraddizioni. Il fatto di non poter prescindere dal proprio punto di vista, quello di osservatori e di abitanti di un pianeta che è immesso in un sistema che è a sua volta parte di una galassia ancora più ampia, è proprio ciò che caratterizza l’esistenza così come la conosciamo.
Per numerosi scienziati quello dell’osservazione della realtà per il tramite della “nostra lente” è stato trattato come un limite invalicabile per le scienze e l’oggettività conoscitiva in generale. Il principio di cui parliamo oggi ha rappresentato una vera e propria svolta tanto per il mondo delle scienze classiche quanto per quello della filosofia scientifica.
Nel 1974 il fisico australiano Brandon Carter pubblicò in un paper redatto per l’Unione Astronomica Internazionale il proprio studio in merito al cosiddetto “principio antropico”. Con simile principio Carter voleva ragguagliare astronomi, biologi, fisici e matematici dall’eludere dall’elaborazione delle proprie teorie sul funzionamento del cosmo la necessaria condizione della possibilità della nostra esistenza.
In parole povere, anzichè considerare il fattore umano come un parametro fonte di errore avrebbero dovuto porlo alla base della validità scientifica dei loro teoremi. L’esistenza è quella condizione ultima (o prima) che ogni teoria o teorema scientifico che aspiri a descrivere l’universo deve tenere in considerazione.
Carter nominò il suo principio “principio antropico“. Il nostro universo per poter essere spiegato deve di fatto includere il fenomeno basilare dell’esistenza di forme di vita. La posizione della terra rispetto al sole, la presenza imprescindibile della luna assimene all’inclinazione specifica del nostro pianeta, sono tutti fattori che hanno permesso lo sviluppo della vita così come la conosciamo.
Chi spiega questo apparentemente fortuito e fortunato stato di cose? Al sole sarebbe bastato situarsi qualche centrimetro più vicino alla terra per rendercela inospitale e inabitabile: rovente. Al contrario se fosse stato poco più lontano avrebbe regalato temperature sotto lo zero decisamente ostili alla vita.
Questo equilibrio perfetto fra gli elementi è ciò che da circa 13 miliardi di anni rende possibile la vita sul nostro pianeta. Alcuni scienziati spiegano il mantenimento di simile stato di cose con una legge definita come “messa a punto“. Questa legge descrive il fenomeno fisico per cui all’interno di un sistema ogni costante è bilanciata in modo tale da poter perseguire il mantenimento delle altre onde evitare l’annullamenro reciproco fra entità.
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Un esempio esplicativo può essere il seguente: per ogni elettrone esiste almeno un protone in grado di neutralizzarne la carica. Questo fenomeno contribuisce al mantenimento della neutralità delle particelle e quindi al loro compartecipato equilibrio.
Se la quantità di particelle subatomiche fosse sfasata, se esistessero ad esempio più elettroni che protoni, la materia non riuscirebbe a tenersi assieme. La speigazione di una simile corrispondenza, quasi inquietante, è rintracciata da molta filosofia della scienza proprio del principio antropico di Carter.
Questo principio descrive in qualche modo la tendenza complessiva dell’universo al mantenimento dell’integrità vitale dei propri elementi costitutivi. D’altro canto solo in un simile universo potrebbe darsi il caso di intelligenze come le nostre, in grado cioè di formulare domande inerenti l’origine e il principio della vita e del cosmo.
Le teorie che puntano a spiegare l’origine e il perché ultimo delle leggi dell’universo (la risposta al perché il cosmo funzioni “così e così“) sono innumerevoli. Dalla teoria delle stringhe a quella del multiverso, i confini oltre cui si estende la vita razionale sono tanto insondabili quanto è inspiegabile la nostra continua esigenza di trovare un fondamento delle cose.