Fast fashion, qual è l’impatto ambientale? Facciamo il punto della situazione

Fast fashion: qual è il suo impatto ambientale? Scopriamolo insieme facendo un po’ il punto della (disastrosa) situazione.

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L’impatto del Fast Fashion sull’ambiente – Foto da Pixabay

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A chi non è mai capitato di acquistare dei vestiti o degli accessori in quelle grandi catene di moda low cost che si trovano spesso nei centri delle città? Parliamo di tutti quei negozi che vendono capi d’abbigliamento che a volte costano anche meno di 15 euro, prezzo decisamente allettante soprattutto per la gioventù odierna.

Negli ultimi tempi poi hanno spopolato i negozi di abbigliamento online, ancora più economici considerato che non hanno dei punti vendita fisici e che quindi hanno meno spese. Su questi e-commerce si possono trovare persino capi d’abbigliamento che costano poco più di 3-4 euro, insomma una vera e propria svolta, direte.

In realtà, per quanto economici possano essere, questa tipologia di negozi ci costano davvero caro. Appartengono tutti al fenomeno denominato Fast Fashion, un fenomeno che permette a chiunque di acquistare capi alla moda ma di scarsa qualità, sfruttando inoltre la manodopera sottopagata dei Paesi di produzione.

Oltre ad esserci dei lavoratori sottopagati, il Fast Fashion è anche molto dannoso per l’ambiente. Scopriamo allora insieme qual è l’impatto ambientale di questo fenomeno degli ultimi tempi.

L’impatto ambientale del Fast Fashion

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Discarica di vestiti del Fast Fashion – Foto da Pinterest

L’impatto ambientale è uno dei lati più negativi del Fast Fashion. Basta acquistare un capo per rendersi conto dei materiali scadenti utilizzati, tessuti il più delle volte non riciclabili.

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La loro bassa qualità fa si che il costo di produzione sia molto basso, ma viene da sé che la durata di vita di questi capi di abbigliamento sia anche molto corta.

Le emissioni emesse poi, sono tra i danni maggiori. Focus ci spiega nel dettaglio la questione con un esempio esplicativo. Pensiamo ad una maglietta di cotone prodotta in Asia.

La sua produzione emette circa 2.6 kg di CO2, emissioni dovute alla produzione del cotone, alla produzione del filato e ovviamente alla produzione della maglia stessa. Basta cambiare tessuto e le emissioni crescono a dismisura.

Un capo in materiale acrilico – come la maggior parte di quelli venduti dalle grandi catene – pesa infatti ben 5kg di CO2.

Spesso poi le magliette vengono tinte con prodotti chimici molto aggressivi ed estremamente nocivi per l’ambiente. Una volta gettati via questi indumenti, la contaminazione ambientale è inevitabile.

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Sono diversi infatti gli studi che hanno stimato come il 20% dell’inquinamento delle acque ambientali sia dovuto alla tintura dei tessuti.

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