L’attivismo climatico è uno dei fenomeni sociali sorti in risposta alla sempre crescente crisi ambientale dei nostri anni. Cosa ha fatto l’Italia in risposta?
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Il secondo decennio degli anni 2000 somiglia più a una puntata di Black Mirror che a una società civile e bene organizzata. Sono questi gli anni dell’assoluzione del debito sempre crescente che abbiamo maturato nel corso degli anni con il nostro pianeta.
Eventi atmosferici anomali, calamità naturali, temperature inumane e stagioni sempre meno distinguibili le une dalle altre sono solo alcune delle conseguenze che gli usi e costumi del tardocapitalismo hanno determinato. Una delle risposte sociali alla crisi ambientale è stata quella della manifestazione sociale, dell’attivismo e della contestazione. Come ha reagito l’Italia?
Attivismo climatico: l’Italia reprime le proteste anziché sposare la causa
E’ dalla prima manifestazione pubblica di Greta Thumberg che il tema della crisi climatica ha iniziato a scuotere le coscienze e scalare le vette di notiziari e vetrine della pubblica informazione. Come tutti i bersagli ben esposti, Greta fu ed è tuttora oggetto di acerrime critiche mosse talvolta con cognizione di causa talvolta tanto per trovare qualcosa da pubblicare.
La moda più recente in fatto di manifestazioni pro-tutela dell’ambiente ha visto e vede numerosi giovani attivisti imbrattare tele ed opere d’arte di varia fattura con l’intento di attirare attenzione su temi più grandi. Questa strategia è una sorta di “hey, guardate il mio dito! Sta indicando proprio la luna!”
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L’ultima notizia di simile modus facendi, almeno in Italia, risale a novembre, quando tre giovani attivisti hanno imbrattato una tela di Van Gogh “Il seminatore” esposta a Palazzo Bonaparte a Roma. L’utilità di questo tipo di proteste non è tema da trattare in questa sede e il giudizio sull’adeguadezza di simili azioni a date circostanze sarà sicuramente diverso per ciascuno dei lettori.
Ciò di cui parliamo oggi è la risposta che l’Italia ha dato a simili manifestazioni. La risposta italiana agli attivisti ha preso la forma di una crescente criminalizzazione delle proteste. Ciò si è tradotto in una serie di misure che ricadono sotto il nome di “sorveglianza speciale” discusse il 10 gennaio al Tribunale di Milano.
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Anziché inserire nell’ordine del giorno tematiche proprie dell’ambito dell’emergenza climatica si è preferito rafforzare il grado di sorveglianza tramite la legittimazione di misure intimidatorie repressive. Se alcune reazioni alla crisi ambientale sono da ritenersi inadeguate lo stesso può dirsi delle manovre italiane che prendono la forma della repressione coatta.