Hai mai sentito parlare della sindrome del terzo uomo? Si tratta di un fenomeno davvero straordinario messo in atto dal nostro cervello. Scopriamo di più a riguardo.
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Ti è mai capitato di avvertire come la presenza di un’altra persona accanto a te in determinate situazioni? Se ti è capitato, molto probabilmente ti trovavi in una condizione di forte stress e la presenza che hai avvertito ha un nome.
Si chiama sindrome del terzo uomo ed è un fenomeno psicologico messo in atto dal cervello in alcune situazioni di forte stress fisico e mentale.
Generalmente a sperimentare questo fenomeno sono persone che vivono condizioni estreme ed infatti i casi maggiormente documentati riguardano degli alpinisti.
Una delle esperienze più note è stata quella dell’alpinista italiano Reinhold Messner che durante la discesa con il fratello Gunther dal Nanga Parbat, un massiccio montuoso appartenente alla catena dell’Himalaya, ha sentito la presenza di una terza persona che addirittura sembrava indicargli la via. Ma cos’è effettivamente la sindrome del terzo uomo? Scopriamo insieme cosa ne pensa la scienza.
Lo studio scientifico sulla sindrome del terzo uomo
Per definizione, la sindrome del terzo uomo è un fenomeno psicologico che si sperimenta in condizioni estreme, dove in ballo c’è la vita. A descrivere per la prima volta questo fenomeno è stato Sir Ernest Shackleton, nel suo libro “South” del 1919.
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Shackleton era pienamente convinto che durante la spedizione antartica avvenuta tra il 1914 ed il 1917, un compagno di viaggio “incorporeo” si fosse unito al team di spedizione.
Ovviamente non si trattava di un vero compagno ma di un meccanismo di difesa messo in atto dal cervello. In questi casi, infatti, il cervello invia dei segnali elettrici chiamati “switch” che fanno sì che si crei un’allucinazione che porta a far alludere alla presenza di un’entità priva di corpo.
Di recente è stato condotto un nuovo studio, precisamente nel 2018. Il team di ricerca ha analizzato 83 diversi scalatori che avevano riscontrato degli episodi di psicosi, il tutto seguendo i criteri diagnostici del DSM-5, ovvero il manuale che definisce i disturbi psichiatrici.
Di questi 83 scalatori, solo il 22% ha avuto episodi psicotici in montagna, insieme ai sintomi del mal di montagna. Il 28%, invece, ha avuto episodi psicotici ad alta quota ma senza altri sintomi, mentre il restante 50% non ha avuto alcun sintomo.
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Questi dati indicherebbero quindi la presenza di un’altra sindrome. C’è invece chi pensa che chiunque venga ucciso dalla montagna vaghi li per sempre, guidando gli scalatori sopravvissuti durante le scalate.