Sono definiti “vestiti dell’uomo bianco morto”, chiamati così in Ghana gli abiti di seconda mano che arrivano al mercato ogni giorno.
Gli indumenti dei paesi industrializzati e ricchi, quando arrivano nei paesi del terzo modo, sono presi d’assalto della popolazione. In Ghana, ad esempio, questi vestiti sono chiamati “vestiti dell’uomo bianco morto”. In realtà, si tratta degli scarti della fast fashion, che i paesi avanzati raccolgono e poi spediscono ai paesi in via di sviluppo. Quella che è iniziata circa 60 anni fa, negli Stati Uniti, si è trasformato oggi in una fonte di reddito per il Ghana, in particolare per la sua capitale, Accra.
Qui, al mercato di Kantamanto, si vendono vestiti usati a quantità industriali. Non a caso, si tratta del mercato di seconda mano più esteso nel mondo. Ogni settimana, al mercato di Kantamanto, in Ghana, arrivano quasi 15 milioni di capi di seconda mano. Sono tantissimi, una quantità spropositata, tanto che la popolazione di Accra li chiama “i vestiti dell’uomo bianco morto”, pensando che siano prelevati dai guardaroba delle persone decedute.
Il mercato di seconda mano più esteso nel mondo: il risultato della fast fashion
In effetti, per queste popolazione, una quantità così vasta di abiti è una cosa inconcepibile. Dietro questo commercio si nasconde un sistema capitalistico moderno e distruttivo, ossia la fast fashion, che ha un impatto enorme e devastante sull’ambiente. Ma come nasce questo fenomeno? Facciamo un balzo indieto, fino alla fine del 1800, con la nascita delle prime industrie tessili. È in questa epoca che vengono creati i primi abiti in serie.
Gli abiti prodotti in serie erano destinati agli uomini e alle donne della classe media. Se i ricchi potevano permettersi abiti unici, fatti su misura, e i poveri non avevano soldi per acquistare abiti nuovi, la classe media aveva il potenziale per dare vita a questo tipo di mercato. E così è stato. Le prime industre tessili, dunque, hanno dato il via a una produzione veloce e numerosa di tessuti, cosa inconcepibile fino a pochi anni prima.
L’industria della moda ha preso piede in breve tempo. Tuttavia, l’accelerazione si è avuta negli anni ’50, con il maggiore benessere economico, l’esigenza dei giovani di avere sempre più abiti nuovi e le nuove tecnologie sperimentate delle industrie. In questo periodo nascono i primi negozi di moda, sempre più numerosi. E qui nasce anche la moda a basso prezzo.
La folle filosofia capitalistica della fast fashion
La moda a basso prezzo punta a fornire quantità enormi di capi, di tutti i gusti e per tutte le taglie, venduti però a prezzi stracciati. Inizia così la fast fashion, di cui si inizierà a parlare solo nel 1989, in un articolo del New York Times. Velocità di produzione, tessuti poco curati e di discreta o mediocre qualità, velocità di commercializzazione nei negozi e facilità di vendita, sono gli elementi base di questa filosofia.
Il tutto serve proprio per offrire abbigliamento a prezzo stracciato, essendo di bassa qualità, che si rovina subito. In questo modo, le persone acquistano di più, cambiando continuamente il proprio guardaroba. È l’atteggiamento dell’usa e getta. Per mantenere alti i profitti e bassi i costi, le industrie sfruttano i lavoratori dei paesi poveri, come Cina, Bangladesh, Pakistan, specialmente lavoratori provenienti dalle aree rurali.
Questi lavorano in condizioni spaventose, per un guadagno misero. Ma non solo, perché questo tipo di moda ha un impatto devastante anche sull’ambiente, dato che produce il 47% delle emissioni globali e miliardi di microplastiche in mare. Purtroppo, con l’aumento della popolazione, incrementa anche questo tipo di moda, e con essa tutte le discriminazioni e danni di cui siamo testimoni.