Barriere raccogli plastica: un sistema semplice ma efficace attuato da due ricercatori italiani contro l’inquinamento delle acque. Ecco come funziona
La plastica è uno dei materiali che difficilmente si distrugge, nonostante il passare del tempo, e quello che arriva più frequentemente nelle acque rappresentando uno dei principali fattori di inquinamento. Secondo le stime ogni anno sono circa 8 milioni le tonnellate di plastiche che arrivano negli oceani. Da dove proviene la maggiore quantità? Dai fiumi, piccoli o grandi che siano.
Per cercare di contrastare e arginare questa emergenza combattendo l’inquinamento da plastica, due italiani hanno inventato delle barriere che permettono di raccogliere i rifiuti più pericolosi fermando la loro corsa in acqua verso l’oceano. Un progetto che ha già avuto alcune installazioni e dei buoni primi risultati. Vi raccontiamo tutto nel dettaglio.
Si chiamano Fabio Dalmonte e Mauro Nardocci, amici ma anche colleghi, i due italiani che hanno brevettato dei sistemi che permettono di contrastare l’inquinamento da plastica nei fiumi. Proprio in Indonesia dove hanno risieduto per un periodo di ricerca, i due giovani si sono accorti della quantità di plastica che arriva nei corsi d’acqua e così hanno pensato di fare qualcosa per fermare il fenomeno.
Hanno così creato barriere galleggianti che raccolgono la plastica che hanno chiamato Blue Barriers. Si posizionano in maniera obliqua lungo i corsi d’acqua e riescono a fermare il 100% dei rifiuti. Ma non solo. I rifiuti bloccati vengono anche selezionati e riciclati adeguatamente. Una prima barriera è stata installata proprio in Italia e con precisione sul fiume Aniene nel Lazio. I due stanno lavorando per ampliare il progetto e installarne molte altre barriere raccogli plastica sia in Europa che in Asia.
I risultati per il momento sono impressionanti. In tre giorni, sul Tevere, si sono raccolti un metro cubo di rifiuti, non solo plastica ma di tutto e di più. Dalle porte ai divani, dai materassi a elementi d’arredo e tantissimi altri oggetti che non possono stare nelle acque inquinando non solo gli oceani ma anche l’aria e gli alimenti che finiscono nei nostri piatti. I dati che arrivano dal fiume Aniene non sono stati ancora condivisi ma già da ora raccontano che il brevetto funziona e dimostra che davvero può migliorare le cose per un problema sempre più massiccio ed evidente.