C’è l’ok dell’Aiea allo sversamento dell’acqua radioattiva di Fukushima nell’oceano. Montano le proteste ma vediamo come stanno effettivamente le cose
Il tanto attesa via libera è arrivato. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha detto sì al piano proposto dal Giappone per lo sversamento dell’acqua radioattiva della centrale nucleare di Fukushima che è stata interessata, nel 2011, da un rovinoso incidente esito dello tsunami seguito al terremoto. I tecnici hanno spiegato che la proposta presentata da Tokyo è “in linea con gli standard di sicurezza dell’Onu”.
Si tratta di oltre un milione di tonnellate di acqua contaminata che, al momento, viene riposto in serbatoi che sono quasi al collasso, arrivati al 98% della loro capienza. L’Aiea ha garantito che gli scarichi derivanti dalle acque della centrale che arriveranno nel Pacifico avranno un impatto radiologico trascurabile, tanto sull’ambiente che sulle persone, è davvero così? Vediamoci chiaro.
Acqua radioattiva di Fukushima: le reali conseguenze per ambiente e uomo
Il via libera dato dall’Aiea non è passato ovviamente inosservato, nel mondo:dalla vicina Cina che punta il dito sul Giappone che usa l’Oceano come “una fogna”, alla Corea del Sud che ha visto insorgere la Conferenza episcopale cattolica fino ai cittadini che si chiedono quali possano essere i rischi per tutti, proprio ora che è tempo di spiaggia, bagni e tuffi in mare.
Si tratta di una situazione complessa e che ha interessato fin dal primo momento l’opinione pubblica. Gli esperti spiegano che le operazioni di sversamento non sono pericolose in quanto le quantità di trizio, elemento radioattivo presente nelle acque di scarto provenienti dalla centrale, sono minime rispetto all’immensità dell’oceano. In teoria, dunque, le rimanenze di trizio non dovrebbero creare problemi né alla fauna né alla flora del posto e né tantomeno a tutte le persone che affollano le spiagge in estate.
È ovvio però che l’operazione deve essere eseguita con un certo criterio, in modo lento e con sversamenti mirati, che non siano tutti rivolti in un unico punto del Pacifico. La strada da seguire è quella della diluizione che consente così di incidere una sola parte su circa 7 milioni di presenze radioattive esistenti già nell’oceano. L’Aiea che attende la conferma da parte del governo di Tokyo a procedere, ha fatto sapere che seguirà le operazioni con una presenza costante nella zona interessata per monitorare le procedure condividendo i dati in tempo reale.