Un programma di IA è, in sostanza, un insieme di algoritmi matematici e di riconoscimento di modelli. Dopo aver soppiantato numerose figure professionali, l’IA si prepara alla competizione diretta con la nostra specie.
Un programma di Intelligenza Artificiale funziona, in buona sostanza, tramite un insieme di algoritmi matematici e di riconoscimento di modelli. Ad oggi quello sull’IA è il topic pubblico più battuto dal momento che da programma di simulazione cognitiva minaccia, in un futuro davvero remoto, di non limitarsi alla sostituzione di funzioni logistico-matematiche in ambito strettamente professionale.
A piangere per l’ascesa dell’intelligenza artificiale potrebbero non essere semplicemente alcune figure professionali oramai costrette a reinventarsi in funzioni e compiti, ma l’umanità tutta. Ma in che senso? In fondo rispetto all’IA la specie umana conserva e presenta aspetti decisamente originari ed irreplicabili come l’intenzionalità, l’empatia e la coscienza di sé. Approfondiamo.
Intelligenza artificiale: il futuro della specie è a rischio?
Da IRobot a Android Apocalypse l’ipotesi di un futuro distopico in cui i robot e le macchine si appropriano dei “mezzi di produzione” è divenuta familiare. Lo scenario inquietante fino a ieri osservato dietro il grande il schermo sotto forma di finzione pare ad oggi averlo bucato quello schermo. Elon Musk lo sa bene, forse meglio di tutti: l’Intelligenza Artificiale raggiungerà presto il parossismo del suo sviluppo.
Ma cosa significa? Partiamo dall’ambito professionale: artisti, scenografi, fotografi, scrittori e giornalisti si trovano già con la pistola puntata alla tempia da quando ai computer è stato insegnato a replicare quadri, foto, copioni, libri, articoli e molto altro. Di fatto l’intelligenza artificiale riesce a ripercorrere percorsi cognitivi alla base della formazione di frasi di senso compiuto, oppure della composizione di una foto, tramite computo e simulazione.
C’è ancora una possibilità di differenziazione? Sì
Per fortuna siamo ancora molto lontani da scenari in cui robots e entità elettronico-meccaniche possano effettivamente rivestire il ruolo attivo di umanoidi nella nostra società ma non c’è da stare tranquilli. Per ora lo smacco che l’essere umano continua a impugnare nei confronti della macchina è dato dall’autocoscienza di sé. Allo stesso modo provare emozioni, come l’empatia ad esempio, oppure prevedere l’imprevisto in una serie logica di eventi, sono funzioni ancora da prescrivere, non innate quindi, nella macchina.