Il Washington Post lo ha rivelato alla fine dello scorso anno. Un gran numero di influencer dietiste verrebbe pagato dalle multinazionali del settore alimentare.
Sembra la scoperta dell’uovo di Colombo, ed a ben vedere lo è. Il sistema economico e di profitto che gira attorno al mondo degli influencer è molto più complesso di quanto sembri. A ben vedere richiama le sue origini nella metà del secolo scorso, dove gli inserzionisti pubblicitari facevano copioso utilizzo di testimonial per i loro prodotti. La RAI metteva a punto addirittura degli sketch ben fatti, interpretati da attori celebri e noti al pubblico, per poi manifestare alla fine l’intento delle ‘scenette’: pubblicizzare un prodotto.
Questo sistema di fidelizzazione al prodotto tramite un personaggio pubblico molto apprezzato ha sempre riscosso grande successo, al punto da diventare ‘presumibilmente ingannevole’. Nella pubblicità, la ‘voce’ che suggerisce l’acquisto del prodotto non è strettamente del personaggio pubblico, ma è imposta dal contratto di sponsorizzazione.
Di conseguenza il rischio di attività ingannevole nei confronti dei consumatori è alle porte. Proprio per questo motivo, numerosi decenni fa, è stato imposto di segnalare in maniera visibile quando si trattava di un contenuto pubblicitario, cosa che è stata estesa anche al web. Solo che il sistema degli influencer facilmente può divincolarsi da questa logica e dalla legislazione vigente.
Ciò che il Washington Post, e The Examination, hanno portato alla luce, è un sistema molto più corrotto di quanto si immaginasse. Numerose influencer dietiste hanno elogiato l’aspartame, lo zucchero e gli alimenti ultraprocessati. Alla base di questi post ci sarebbero lauti compensi da parte delle multinazionali del settore alimentare, e dall’altra parte una scarsissima evidenza scientifica. A discapito della salute dei consumatori, che potrebbero aver intrapreso un consumo alimentare dannoso fidandosi delle influencer dietiste. In particolare la campagna pro aspartame – che l’inchiesta ha smontato rivelando i finanziamenti da parte della American Beverage Association – è stata al centro del mirino.
L’avvio di #safetyofaspartame è arrivato contemporaneamente alla decisione dello Iarc di classificare il dolcificante come cancerogeno. Una influencer dietista statunitense, con oltre due milioni di followers al suo attivo, ha pubblicamente dichiarato che sia le raccomandazioni dell’Oms che dello IARC erano clickbait allarmisti, cioè modi facili per guadagnare click gettando allarmi con poche evidenze scientifiche. E da qui è scattata l’inchiesta che ha sollevato il coperchio del vaso di Pandora.
Numerosissime dietiste influencer hanno postato contenuti pubblicitari, nei quali meno della metà era segnalato che si trattava di sponsorizzazioni e non di consigli medici. Con tutta probabilità ci troviamo ancora soltanto di fronte alla punta dell’iceberg. La Ferragni in questo momento si trova nell’occhio del ciclone per la questione del pandoro Balocco ed altri. Tuttavia la sua notorietà non deve offuscare ciò che è davvero poco limpido: il circuito economico che esiste nella sfera degli influencer ed il rapporto con le multinazionali.