La verità dietro l’utilizzo di biocarburanti, ritenuti una soluzione ecologica, ma in realtà si nascondono altre insidie.
I biocarburanti, spesso promossi come una soluzione di energia verde, sono stati presentati come uno strumento chiave per combattere il cambiamento climatico e passare a una energia sostenibile. Derivati da colture come mais, grano, soia, colza, olio di palma e anche alghe, ovvero in altri casi l’olio esausto, i biocarburanti sono stati considerati combustibili di transizione capaci di ridurre le emissioni di carbonio e raggiungere la sovranità energetica.
Ma, nonostante il loro fascino ambientale, i biocarburanti possono avere implicazioni negative significative, soprattutto riguardo alla giustizia ambientale, alla sicurezza alimentare e alla competizione per l’uso del suolo. La domanda che sorge è: è possibile allineare la produzione di biocarburanti con un’economia rigenerativa che promuova la sostenibilità ambientale e l’equità sociale?
Gli studiosi Jörn P. W. Scharlemann e William F. Laurance offrono una visione critica dei biocarburanti, suggerendo che non tutti i biocarburanti sono ecologicamente benefici. Secondo la loro ricerca, biocarburanti come mais, canna da zucchero e soia hanno prestazioni scarse in vari contesti ambientali, a volte generando costi ambientali complessivi maggiori rispetto ai combustibili fossili. Questi costi derivano da diverse fonti, tra cui l’uso di fertilizzanti azotati, che emettono ossido di diazoto, un potente gas serra. Inoltre, ampie aree di habitat naturali vengono spesso convertite in siti di produzione di biocarburanti, aggravando ulteriormente il degrado ecologico.
La ricerca di Rainer Zah e altri supporta questa visione, mostrando che quasi la metà dei biocarburanti analizzati, inclusi i biocarburanti da etanolo di mais, comportano costi ambientali superiori a quelli dei combustibili fossili. Questi costi vanno oltre la produzione, poiché il trasporto delle materie prime agli impianti di lavorazione dei biocarburanti contribuisce anch’esso alle emissioni di gas serra. Pertanto, sebbene i biocarburanti vengano spesso promossi come un’alternativa più pulita, la loro impronta ecologica complessiva può essere molto più complessa.
Le colture di biocarburanti richiedono generalmente monoculture su larga scala, che necessitano di un forte apporto di fertilizzanti, pesticidi e macchinari industriali. Questo modello agricolo intensivo porta a una serie di conseguenze negative, tra cui il deperimento del suolo, la perdita di biodiversità e il deterioramento della salute degli ecosistemi. La necessità di vasti appezzamenti di terra crea anche una competizione per lo spazio, spesso spostando le colture alimentari e minando la sicurezza alimentare. L’economista Daniela Russi sottolinea che i bassi rendimenti delle colture di biocarburanti richiedono tali coltivazioni su larga scala, rendendo difficile ottenere la sostenibilità che i biocarburanti mirano a offrire.
Oltre alle preoccupazioni ambientali, la produzione di biocarburanti solleva anche importanti questioni socio-economiche, soprattutto nei paesi postcoloniali, dove la terra agricola viene sempre più convertita per l’agricoltura energetica. Questa espansione spesso invade terreni tradizionalmente utilizzati per l’agricoltura di sussistenza, influenzando le popolazioni vulnerabili che dipendono da colture come mais, grano e zucchero per la sopravvivenza quotidiana. Questa competizione tra biocarburanti e produzione alimentare porta a un fenomeno chiamato “etanolinflazione“, dove i prezzi dei generi alimentari essenziali aumentano, rendendoli inaccessibili per molti.
Inoltre, l’agricoltura dei biocarburanti può formalizzare i sistemi di tutela della terra, dove i diritti sulla terra, che prima erano più fluidi o basati su pratiche consuetudinarie, vengono sostituiti dalla proprietà formale o dalla documentazione legale. Studi di Laura German e colleghi in paesi come Malesia, Ghana e Indonesia rivelano che sorgono conflitti sulla proprietà della terra e sulla distribuzione delle risorse, in particolare quando i titolari di terre consuetudinarie vengono esclusi dai processi decisionali.
Per affrontare queste sfide, gli esperti sostengono che l’industria dei biocarburanti debba spostarsi verso modelli più sostenibili ed equamente distribuiti. Joyce Tait, presidente del Nuffield Council on Bioethics, afferma che lo sviluppo dei biocarburanti non dovrebbe avvenire a spese dei diritti umani—in particolare l’accesso a cibo, acqua e terra. La produzione di biocarburanti deve prioritizzare le considerazioni etiche, assicurando che non venga compromesso l’accesso alle risorse fondamentali né aggravate le disuguaglianze sociali.
Una possibile soluzione è concentrarsi su biocarburanti che non competono con le colture alimentari, come quelli derivati da alghe o residui agricoli. Queste alternative, insieme a modelli di produzione su piccola scala e locali, possono ridurre gli input di risorse e offrire benefici economici alle comunità locali. Le piccole produzioni agricole sono particolarmente promettenti perché favoriscono una crescita inclusiva e assicurano che i benefici dello sviluppo dei biocarburanti siano distribuiti in modo più equo.